Quando giudico, accetto di non essere libero

“La forma più alta di conoscenza sta nella capacità di osservare senza giudicare”

— Krishnamurti —

Cosa vuol dire “giudicare“? E soprattutto, cosa significa “osservare senza giudicare“?

L’osservazione dell’esperienza da una prospettiva di non giudizio è uno dei 7 pilastri della Mindfulness, cioè una di quelle attitudini interiori che vengono considerate fondamentali in un approccio consapevole alla vita. Un approfondimento sui 7 pilastri si può trovare in questo articolo LE ATTITUDINI DELLA MINDFULNESS.

Spesso si trova intrinseca in noi, nella nostra quotidianità, la tendenza a dare un giudizio su alcune cose, situazioni o persone. Secondo il Dizionario Online Treccani, alcune definizioni di “giudizio” sono le seguenti:

  1. Qualsiasi affermazione, verbale o scritta, la quale non sia una semplice constatazione di fatto, ma esprima un’opinione sulle qualità, il valore, il merito di una persona o cosa;
  2. Valutazione soggettiva che di un oggetto, concreto o astratto, viene data da una persona, sulla base di fattori emotivi varî, ma in genere influenzata anche dall’ambiente sociale

In entrambe queste definizioni, possiamo notare la qualità opinabile di un nostro giudizio: il fatto che esso sia una opinione, una valutazione soggettiva compiuta in base a fattori emotivi ed influenzata addirittura dalla società, indica facilmente come questo giudizio non possa essere una descrizione libera e accurata di quel fatto, di quella cosa o di quella persona.

Ogni volta che giudichiamo qualcosa, eseguiamo un’operazione aggiuntiva sulla realtà: aggiungiamo a quell’evento la nostra opinione personale. Per quanto le nostre opinioni possano essere precise e per quanto noi possiamo sinceramente essere convinti della loro bontà, rimangono pur sempre dei fatti soggettivi, degli elementi inseriti in uno schema mentale che già conosciamo, che abbiamo imparato, che ci siamo costruiti e che manteniamo attivo perché, in un modo o nell’altro, ci dà una spiegazione della realtà.

L’alternativa al giudizio

Etimologicamente, l’azione di “osservare senza giudicare” trova un sinonimo nel termine “esaminare“, che, secondo il Dizionario online della Garzanti, significa appunto “fare oggetto di esame, osservare attentamente“. Inoltre, la parola “esame” deriva dal latino exāmen, derivato di exigĕre cioè “pesare“. Questo è anche uno dei significati del verbo “valutare“.

Già soltanto da questa definizione possiamo intuire come l’atto di valutare abbia una connotazione più scientifica, più legata ai dati di realtà, rispetto al dare credito a una nostra opinione soggettiva, basata magari anche in origine sui dati di fatto, ma poi distorta dalla nostra mente.

Quando compio una valutazione, mi metto a cercare i dati di fatto, con la stessa attitudine di uno scienziato: osservo le caratteristiche con cui un evento o una persona si manifestano a me, le misuro, do loro un nome oggettivo. Se una persona parla con voce stridula, dirò “Quando ha parlato aveva una voce stridula” e non “Parla come una strega”. Se fuori fa freddo potrò dire che fa freddo e non “Fa troppo freddo” oppure “Odio questo freddo”. Questi ultimi sono giudizi, sto giudicando che quell’evento (per esempio, la temperatura a -10 gradi) sia sbagliato e che non dovrebbe essere così. Come conseguenza, ne ricavo una sensazione di fastidio o altre emozioni negative, in base alle quali adeguerò il mio comportamento reattivo: eviterò quella persona, sarò ostile verso di lei, continuerò a pensare male di lei, eccetera. In questo modo, giudicando, accetto di non essere libero.

Esempio di Processo Valutativo

E nel caso in cui una persona mi dica qualcosa che trovo sgradevole come una critica o un insulto? E’ importante in questi casi, cercare di non intensificare la negatività della situazione, in relazione alla persona che ci ha insultato e in relazione alla nostra reazione emotiva. In questo caso, facciamo finta di essere scienziati e analizziamo i dati di fatto.

Cosa ha detto la persona? Mi ha criticato. —> NO (dire che ti ha criticato non è un dato di fatto ma è una tua interpretazione)

Cosa ha detto la persona? Ha detto “Sei stupido” –> OK (questo è un dato di fatto)

Ora iniziamo a fare di quella frase il nostro oggetto di esame, iniziamo a pesarla, analizzando gli altri dati di fatto.

La persona ha detto “Sei stupido“. Come appariva la persona in volto? Come muoveva il corpo? Che tono aveva la sua voce? Che volume, quale altezza del suono? Raccogliamo tutti questi dati sull’altra persona, e poi raccogliamoli anche su di noi. Come ho risposto alla sua frase, o come stavo per rispondere? Com’era il mio volto? Le mie mani? Quali pensieri mi stavano passando per la mente? Quali emozioni stavo provando? Soffermiamoci sui dati, cerchiamo di non spiegarli. Osserviamo (quindi valutiamo) i pensieri che ci vengono, del tipo “Sarà lui uno stupido“, e consideriamoli nuovamente come fossimo scienziati. La persona ha pronunciato 2 parole (la parola “sei” e la parola “stupido“), questo non può rendere qualcuno stupido. Quindi la nostra è un’opinione, non un dato scientifico. Se ci facciamo catturare dal significato che diamo a quelle due parole, ecco che siamo di nuovo fuori dall’esame.

Dopo aver raccolto questi dati, solitamente il tumulto emotivo si è già moderatamente ridotto, e quello che rimane risulta facilmente gestibile. Se al contrario, alimentiamo il contenuto emotivo negativo di quelle due parole, emergono ed aumentano le emozioni negative di rabbia, disprezzo, ostilità, tristezza, ecc. In altre parole, a quella frase sgradevole ricevuta stiamo aggiungendo la nostra opinione, senza che quest’aggiunta ci aiuti minimamente a stare meglio.

Giudicare è un’illusione, perché, se dovete giudicare, vi servite della vostra scala di valori
— Swami Prajnanapada —

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