“Il pettegolezzo è come fumare sigarette: piacevole, ma poco sano”
— Woody Allen —
Qual è la prima cosa che facciamo quando qualcosa ci turba? Quando ci succede qualcosa di negativo, anche solo di vagamente spiacevole o fastidioso, o fosse anche qualche evento realmente traumatico, tendenzialmente quasi tutti cerchiamo automaticamente qualcuno con cui parlarne. Questo è un comportamento molto comprensibile, umano, ed è anche facile capirne il vantaggio che se ne ricava. Purtroppo però, si tratta, anche se non ci piace ammetterlo, di un vantaggio estremamente superficiale ed effimero, che dura giusto il tempo del nostro sfogo, lasciandoci dopo con una sensazione di stanchezza e più lontani di prima dalla vera soluzione al nostro disagio.
MI LAMENTO QUINDI…SONO!
Ci sono persone (forse addirittura noi stessi, non è una colpa riconoscerlo) che passano una grandissima quantità di tempo lamentandosi: della pioggia, del caldo, della pasta scotta, dei calzini che non si trovano, del traffico, del lavoro, delle ferie troppo brevi, dei nipoti rumorosi, dei figli che non dormono, dei genitori anziani, delle tasse, dei referendum, della coda all’ufficio postale, e chi più ne ha più ne metta. Siamo tutti molto bravi a trovare motivi di lamentela.
L’unica cosa che fa la lamentela è convincere gli altri che tu non sei in controllo della situazione.
Spesso il “lamentarsi” diventa quasi parte naturale della nostra identità, tanto che gli altri ci riconoscono come i “lamentosi” o i “criticoni”; spesso, questo lamentarci arriva a dare fastidio anche a noi stessi, ritorcendocisi contro, e iniziamo a lamentarci e poi a lamentarci di esserci lamentati. Diventa un circolo vizioso!
Quando cerchiamo l’appoggio di altre persone che ascoltino le nostre lamentele non lo facciamo con cattiva fede: il nostro desiderio in quel momento, può essere quello di sentirci meglio, di alleggerirci di un peso, di trovare supporto, complicità, comprensione, aiuto. Sempre che non diventi eccessivo e che non sia vissuto dagli altri in modo negativo: in questo caso, questo atteggiamento negativo impedisce agli altri di empatizzare con noi creando, al contrario, distanza e silenzio, e la sensazione dell’ascoltatore di essere sfruttato, usato come una discarica e poi gettato via. Questo non va a migliorare le nostre relazioni, portando quasi sicuramente gli altri ad allontanarsi da noi, o perlomeno a smettere di ascoltarci.
ANALIZZARE LA LAMENTELA
Proviamo a pensarci: cosa vuol dire lamentarsi del “traffico” (o di qualsiasi altra cosa)?
Innanzitutto, se mi lamento vuol dire che credo in cuor mio di aver subìto un qualche tipo di torto. E’ come se mi aspettassi che il traffico, gli altri automobilisti, i semafori, eccetera, debbano in qualche modo captare il mio desiderio di arrivare a casa o al lavoro o dovunque altro mi stia dirigendo il più in fretta possibile;
Se mi lamento, vuol dire che credo che gli altri (automobilisti, semafori, il mondo, ecc…) debbano piegarsi al mio desiderio del momento, esaudendolo per permettermi di stare bene o svolgere le mie attività con agevolezza (un tipo di pensiero “vagamente” egocentrico);
Se mi lamento, vuol dire che non riesco a sopportare il dato di realtà che, effettivamente, il resto dell’universo non fa a gara per rendermi felice. Provo quindi una frustrazione del mio desiderio, frustrazione nei confronti della quale sono intollerante;
Il contenuto della lamentela che segue i precedenti 3 punti di questa nostra analisi può variare abbastanza, ma la base sarà senz’altro a sfondo negativo, caratterizzato da emozioni quali: rabbia, tristezza, autocommiserazione, saccenza, superiorità o inferiorità, negazione, ecc…
Lamentandomi in continuazione, creo inconsapevolmente nel mio cervello circuiti neurali che, col passare del tempo, diventerà sempre più facile e più veloce attivare anche in seguito a stimoli meno importanti, quindi così facendo preparo con le mie stesse mani un peggioramento della situazione. Grazie alla neuroplasticità cerebrale (e quindi alla capacità del cervello di creare sempre nuovi circuiti anche in età adulta, in base alle esperienze che viviamo e ai cambiamenti che deliberatamente decidiamo di apportare nelle nostre vite) è sempre possibile invertire il ciclo, ma più tardi lo si fa, più la procedura sarà laboriosa. Inoltre, in base ai circuiti che vengono creati/creo nel mio cervello, interpreterò in modo congruente i vari eventi e le varie esperienze: se ho imparato che il traffico è fastidioso, pericoloso e mi fa perdere tempo prezioso, probabilmente tutte le volte in cui mi troverò nel traffico, si attiverà lo stesso copione di pensiero;
Lamentandomi e ripetendo lo stesso copione di pensiero di cui sopra, mi pongo in una posizione di stasi e stagnazione, impedendomi letteralmente di cambiare la situazione e quindi di alleviare la mia sofferenza (perché sì, chi si lamenta sta vivendo una sofferenza) e di fatto, rimango una vittima di ciò che mi accade. SCELGO di restare una vittima.
RICAPITOLANDO…
La lamentela è caratterizzata e produce:
- sensazione di aver subito un torto
- egocentrismo
- intolleranza alla frustrazione
- emozioni negative
- abitudinarietà e automatismo
- vittimismo
- maggior rischio di disturbi psicopatologici (come ansia e depressione)
- relazioni sgradevoli e/o insoddisfacenti
- aumento del pessimismo e dell’infelicità
E IL PETTEGOLEZZO?
Ho messo lamentele e pettegolezzi insieme in questo articolo perché, fondamentalmente, essi sono la stessa cosa. Per quanto il pettegolezzo (non solo lo “sparlare” di qualcuno ma anche il semplice riferire i fatti altrui) possa apparire innocuo o addirittura utile, questa attività è più dannosa che effettivamente procacciatrice di un beneficio.
In maniera un po’ più nascosta, il pettegolezzo o gossip contiene le stesse caratteristiche ricapitolate a proposito della lamentela. La sensazione di aver subito un torto si trasforma semplicemente nella più lieve sensazione di discrepanza: ci accorgiamo di una differenza tra noi e l’altro, e inconsciamente questa differenza che notiamo ci causa una sofferenza (Sì, anche spettegolare è un segno di disagio).
L’egocentrismo del “pettegolo” si manifesta nella posizione auto-assunta del “giudice”: chi spettegola SA come le cose dovrebbero essere fatte o come sarebbe meglio comportarsi. Tutti abbiamo un nostro interiore codice di comportamento: un sistema di valori al quale ci atteniamo e che crediamo sia più o meno universale (da qui, l’egocentrismo).
Le emozioni negative su cui prospera e di cui si nutre il pettegolezzo possono essere le stesse della lamentela ma includere anche invidia, gelosia, risentimento, avarizia, opportunismo, per citarne alcune.
E QUANDO IL PETTEGOLEZZO E’ UTILE?
Il pettegolezzo può essere anche la manifestazione di un bisogno vitale di comunicare. Se non vi è nulla di importante di cui parlare, alcuni membri di un gruppo spesso parlano di altri membri di un gruppo in termini positivi o negativi, raccontando avvenimenti o giudizi, esprimendo opinioni benevole o malevole sul loro conto. Sotto questo profilo il pettegolezzo è una pratica universale, che serve ad alimentare e a mantenere vivi i rapporti interpersonali nei gruppi sociali, a definire e a far circolare una certa immagine dei singoli membri, a modificare la percezione delle posizioni sociali dei vari membri nella distribuzione dei rapporti di potere, a creare alleanze e coalizioni nei vari sottogruppi, a sostenere in generale l’identità del gruppo.
Se fatto con consapevolezza, con cognizione, con conoscenza di noi stessi e con saggezza, anche il pettegolezzo può quindi portare dei benefici. La domanda è: ce l’abbiamo tutta questa consapevolezza?
“Hai verificato se quello che mi dirai è vero?
Se è vero, hai verificato se è anche buono?
Infine, hai verificato se è una cosa utile da sapere?”
— Socrate —