Perché non serve a niente pretendere che l'esterno cambi


La mattina la gente si sveglia e dice: “da oggi cambio vita”. Invece non lo fa mai…

-- Film "The Town" 2010 --

Quante volte capita di avere tantissimi buoni propositi che vorremmo attuare nella nostra vita e poi, inevitabilmente, nel giro di pochi giorni o alcune settimane, è come se ce ne dimenticassimo? Mi viene da pensare a tutte quelle decisioni di mettersi a dieta, di andare regolarmente in palestra o fare sport, di iniziare a donare il sangue, o un cambiamento più psicologico che vorremmo intraprendere come smettere di saltar su al primo fastidio, sentirci meno insicuri o riuscire a dire qualche no in più al capo che ci chiede di fermarci oltre l'orario. Se questo scenario vi suona familiare, continuate a leggere, altrimenti risparmiate pure tempo ed energie dedicandovi ad altro.

Per chi vuole continuare, vi dico cosa ne penso di questi buoni propositi...

BUONI PROPOSITI vs DURA REALTA'

C'è una fortissima barriera contro la quale si imbattono abbastanza presto quasi tutti i buoni propositi o le intenzioni di cambiamento (interno o esterno che sia): questa barriera è LA REALTA'.

Purtroppo, spesso e volentieri il modo in cui le cose, le persone, le situazioni si presentano non sono esattamente come avremmo desiderato. Abbiamo un lavoro ma vorremmo che lo stipendio fosse più alto. Abbiamo qualche amicizia ma vorremmo essere più compresi, più ascoltati o più aiutati in qualche modo. Abbiamo la salute ma....sentiamo che c'è qualcosa di indecifrato che manca.

Spesso il risultato di tutto questo "paragonare" è una forma di disagio dal lieve al moderato, che però è costante e oscilla lungo un continuum di gravità soggettiva: alcuni giorni va meglio mentre altri ci sentiamo proprio uno straccio.

Avete notato cosa succede in quei momenti? Nei momenti in cui confrontiamo la realtà-così-com'è con la realtà-come-vorremmo-che-fosse?

CI SOFFERMIAMO SU CIO' CHE MANCA

Tendenza naturale, direi. Anzi, evolutiva. Anche l'uomo preistorico doveva stare attento a ciò che mancava e a ciò che invece era presente, e questo per poter sopravvivere. Ne andava davvero della sua stessa vita, e di quella della sua tribù. Doveva notare il movimento dell'erba che segnalava la presenza furtiva di qualche predatore pericoloso, o doveva notare quali funghi fossero velenosi per poterli evitare.

Il nostro problema, come uomini della modernità, è che questa tendenza a vedere la mancanza nella realtà ci porta FUORI dalla realtà. Vediamo SOLO quello, e così facendo ci precludiamo da soli tutte le possibilità di creazione e cambiamento, soprattutto quelle che ci vedono protagonisti della nostra esperienza. Perché sì, siamo SEMPRE NOI i protagonisti.

QUALE LOCUS OF CONTROL HAI?

Si tratta di un concetto psicologico che è stato teorizzato già nel 1954 da Rotter, e che è estremamente connesso al modo in cui percepiamo e gestiamo quotidianamente le fonti di stress. Il locus of control è l'insieme delle convinzioni che ognuno di noi ha sul controllo e sul potere che possiede sulla realtà.

Il locus of control può essere:

1) interno: chi ha un locus of control interno tende ad attribuire i risultati ottenuti a capacità personali, è certo di possedere competenze altamente specifiche che lo rendono in grado di raggiungere standard molto elevati e ritiene i risultati delle sue azioni derivanti dalle proprie abilità. Inoltre, crede che ogni azione abbia delle conseguenze che è possibile gestire tramite il proprio controllo. E' più incline all'ansia

2) esterno: chi ha un locus of control esterno invece, ritiene che le conseguenze di alcune azioni siano dovute a circostanze esteriori, per questo le cose che accadono nella vita sono fuori dal loro controllo e le azioni messe in atto sono il risultato di fattori non gestibili, come il destino e la fortuna. Queste persone tendono a incolpare gli altri piuttosto che se stessi per i risultati ottenuti. Sono più inclini alla depressione.

Ricordiamo che questa definizione si estende lungo un continuum sempre dinamico e variabile in base al momento della vita, all'età, al grado di maturità psicologica, alle esigenze esterne e personali, ecc.


DA DOVE VIENE IL CAMBIAMENTO?

Il cambiamento deriva da diversi fattori: sicuramente anche le condizioni esterne ci inducono a cambiare, in meglio o in peggio; le esperienze di vita causano fisiologici cambiamenti caratteriali e non possiamo pretendere di rimanere gli stessi per sempre. Allo stesso modo, non possiamo pretendere che sia il mondo esterno a cambiare in base alle nostre esigenze, ai nostri bisogni o alle nostre credenze. In una realtà (psicologica ma anche fenomenologica) così ampia e multisfaccettata, sarebbe assurdo, siccome io ritengo che la guerra non debba esistere, credere che allora nessuno faccia più la guerra per adeguarsi alla mia credenza.

Più nel quotidiano, sarebbe altresì assurdo pretendere che le persone siano gentili con me perché io valuto molto positivamente la gentilezza e sono sempre comprensiva verso gli altri. Purtroppo ognuno agisce come meglio crede e come può, indipendentemente da quello che desiderano gli altri.

COSA SI PUO' FARE ALLORA?

L'autrice di questo articolo (ossia io) ha, senza ombra di dubbio, un locus of control interno per cui la risposta a questa domanda è: lavorare su noi stessi. La vedo come una necessità per poter stare bene: se l'esterno non cambia, allora posso cambiare io; NON "facendomi andare bene l'esterno" ma scoprendo in me stessa cosa succede quando i miei buoni propositi sbattono contro la dura realtà. Perché? Così la prossima volta sono preparata e la botta sarà sempre più piccola fino a sparire. Mi sembra un buon accordo.

Lavorare su te stesso significa:

  • notare cosa succede nel momento esatto in cui succede
  • sentire qual è la reazione automatica che si forma, qualunque essa sia (rabbia, fastidio, ansia, tristezza, frustrazione, voglia di mollare tutto, istinti autolesionistici, e chi più ne ha più ne metta)
  • accogliere la reazione automatica, darle il permesso di esistere all'interno di te stesso e nella tua realtà esterna (perché tanto ci sarebbe ugualmente...)
  • attraverso l'allenamento a questa forma di presenza, la tua mente resterà lucida e ti ricorderai di cosa è veramente importante per te (che non è sicuramente spaccare tutto o picchiare il bambino)
  • agirai in modo consapevole e saggio, via via con sempre meno sforzo
  • metterai in prospettiva le future difficoltà, sviluppando maggiore comprensione, pazienza, serenità e capirai che se gli altri ti trattano male, se le cose ti vanno storte, se ti ammali....hai sempre uno spazio di manovra per stare meglio.

Tra stimolo e risposta c’è uno spazio.

In questo spazio si trovano la nostra libertà e il nostro potere di scegliere la risposta.

In questa risposta si trovano la nostra crescita e la nostra evoluzione

-- Viktor Frankl --

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