Le origini della Mindfulness

La Mindfulness permette di passare da uno stato di sofferenza
a una percezione soggettiva di benessere,
grazie alla conoscenza profonda di noi stessi e di come funziona la nostra mente.



Mindfulness significa portare attenzione al momento presente in modo curioso e non giudicante (Kabat-Zinn, 1994). Mindfulness è quindi un processo che coltiva la capacità di portare attenzione al momento presente, consapevolezza e accettazione del momento attuale (Hanh, 1987).

Gli elementi costitutivi della Mindfulness, che emergono dalle definizioni riportate sopra (consapevolezza e attenzione) evidenziano quale sia la finalità della pratica Mindfulness, e quindi la sua tensione etica: l’obiettivo è quello di eliminare la sofferenza inutile, coltivando una comprensione e accettazione profonda di qualunque cosa accada attraverso un lavoro attivo con i propri stati mentali. Secondo la tradizione originaria, la pratica della Mindfulness dovrebbe permettere di passare da uno stato di disequilibrio e sofferenza ad uno di maggiore percezione soggettiva di benessere, grazie ad una conoscenza profonda degli stati e dei processi mentali.

Le origini della mindfulness: la tradizione buddista

Le origini di ricerca della consapevolezza si possono rintracciare primariamente all’interno della dottrina e della pratica meditativa buddista. Gli insegnamenti di Buddha, che vano sotto il nome di Dharma, indicano i fattori mentali che consentono all’individuo di cogliere l’essenza e la natura di ciascuna esperienza: l’aspirazione, la fiducia, l’attenzione, la discriminazione e, naturalmente, la consapevolezza.

Mindfulness originariamente traduce il termine sanscrito sati, di grande ampiezza semantica e difficilmente traducibile con una sola parola. Sati è “memoria del presente e presenza mentale“; è una facoltà che occorre coltivare come strada per giungere alla riduzione delle sofferenze umane, che sono considerate connesse ad una percezione erronea di un io individuale permanente. Superare questa illusione permetterebbe il raggiungimento di un equilibrio emozionale e di un benessere psicologico duraturi.

Per raggiungere tale fine, la tradizione buddista non raccomanda un cambiamento della realtà esterna, quanto piuttosto un mutamento dell’individuo stesso a livello cognitivo ed emotivo, per correggere gli errori che la mente umana commette di frequente quando non sia stata allenata e disciplinata (Gethin, 2001).

Come sostiene Chiesa (2013) nella prospettiva della tradizione buddista la mindfulness è consapevolezza lucida di ciò che sta accadendo nel qui e ora. Lo sviluppo di tale abilità è connesso alle pratiche meditative, sia di tipo concentrativo che di tipo ricettivo. Il praticante deve familiarizzare con entrambe le prospettive, imparando così ad ancorare la mente all’esperienza presente, liberandosi da proiezioni, incomprensioni ed errori.

Com’è arrivata in Occidente?

Gran parte delle idee, delle pratiche e degli interventi che oggi vanno sotto il nome di mindfulness sono il frutto di un percorso iniziato con gli studi pionieristici di Jon Kabat-Zinn, un biologo e professore della School of Medicine dell’Università del Massachussets che, a partire dal 1979, ha sviluppato un protocollo per introdurre la meditazione di consapevolezza come intervento in contesti clinici.

Era convinzione di Kabat-Zinn, infatti, che la pratica di meditazione avesse il potere di trasformare in modo duraturo l’esperienza individuale della sofferenza e dello stress, offrendo un’alternativa alle strategie orientate alla risoluzione dei problemi che sono profondamente radicate nella cultura occidentale. L’orizzonte teorico in cui è indispensabile inquadrare le intuizioni e le ricerche di Kabat-Zinn, la messa a punto del programma MBSR e la fondazione della Clinica dello Stress è quello della medicina mente-corpo.

Introducendo la meditazione di consapevolezza nella società occidentale, la mindfulness si spogliava delle sue connotazioni spirituali e morali e si definiva come un’attenzione focalizzata, rivolta al momento presente, intenzionalmente e in modo non giudicante (Kabat-Zinn, 1994).

Così, gradualmente, la Mindfulness è entrata a far parte della pratica clinica, non solo in ambito psicologico ma anche per quanto riguarda problematiche di tipo organico (dolori osteo-muscolari cronici, malattie autoimmuni, emicranie, patologie neoplastiche anche allo stadio terminale, ecc), adattandosi alle esigenze di quasi tutte le persone.

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