Il paradosso del dolore

“La nostra tendenza a fuggire, negare o ritrarci dal dolore non fa che intensificare e prolungare il disagio”
John Briere, Catherine Scott

Paradossale, vero? Eppure lo facciamo centinaia di volte!
Per quanto sia una reazione naturale, è spesso anche il motivo per cui una situazione di disagio e sofferenza continua nel tempo, spesso diventando sempre più intensa. Anche solo il fatto di trascinare una situazione nel lungo termine la inasprisce ed accresce la negatività della nostra percezione. (Naturalmente, non sto parlando di ovvietà del tipo "Ma allora se tocco il fuoco e mi brucio non dovrei ritrarre la mano?": ovvio che sì che dovresti ritrarre la mano, è se NON la ritrai che abbiamo un problema. Paradosso paradosso...).

Esistono tanti modi per fuggire, negare o ritrarsi: dal tirar fuori il cellulare per 10 minuti di fila al supermercato ai complottismi più fantasiosi, dal dormire in eccesso al ricorso a droghe, alcol e dipendenze comportamentali, dal rispondere pan per focaccia a qualcuno che ci insulta al rifiutare di avere una malattia, dal cambiare strada per evitare di incrociare qualcuno allo sfondarci d'inedia sul divano come se non ci fosse un domani (effettivamente, potrebbe non esserci neanche un "oggi"). Tanti modi e tante sfumature di intensità e significato, con cui cerchiamo di proteggerci dalla sofferenza della situazione così come la percepiamo e ce la raccontiamo.

Il paradosso sta proprio qua: proprio quando siamo presi dall’impulso del fuggire, negare o ritrarci, se in quel momento invece non lo facessimo...che succederebbe? Sentiremmo il dolore, certamente, proprio quello che vogliamo evitare, perché non ci piace e vorremmo che sparisse. Tutto qua?

Decisamente no, e la proposta così diventa controintuitiva (rivolgerci al dolore anziché voltare lo sguardo) ma può essere la strada per iniziare ad integrare tutti quegli elementi scomposti, taglienti, spaventosi, per dar loro un nome, smettere di averne paura (o ridurre la paura) e stavolta veramente fare qualcosa per cambiare.

Vedremo la differenza tra le cose e la nostra percezione delle cose. E forse scopriremo addirittura di essere più grandi di quel dolore e di avere più spazio dentro di noi per accogliere le esperienze? Forse scopriremo che quella cosa non era così ingestibile come pensavamo, e che dovevamo solo trovare le risorse e gli strumenti adatti? Forse scopriremo che quello che ci è capitato doveva capitarci e non potevamo farci niente, ma possiamo fare invece molto se accettiamo la sua presenza e cresciamo attraverso di lui? Fermo restando che non ci piaccia, che sia doloroso e che vorremmo sparisse, forse possiamo però imparare qualcosa che ci sarà utile, questo sì, per evitare che accada di nuovo? O per ridurne le conseguenze? O perlomeno per imparare a conviverci?



Questo invito a guardare in faccia il dolore, per quanto sembri passatempo da masochisti, riveste invece un valore terapeutico e trasformativo. E’ quello che facciamo nella pratica quando emergono esperienze disturbanti: le accogliamo nello spazio della nostra consapevolezza, incarnando gentilezza, rispetto, ascolto e pazienza, facendo loro spazio anziché negarle, fuggirle, combatterle o agire ciecamente sulla base del loro condizionamento. E qual è il paradosso più paradosso in tutto questo? E' che scopriamo la possibilità di essere felici e di provare gioia anche in mezzo al dolore.


FEDERICA GAETA

Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica

Istruttrice Qualificata Mindfulness e prot. MBSR

tel. 327 49 58 256


Riferimento:
Briere, J., & Scott, C. (2006). Principles of trauma therapy: A guide to symptoms, evaluation, and treatment.

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