“Quello che nutri,
diventa più forte”
Da pochi giorni è incominciata in Italia la Fase 2, con la graduale riapertura delle attività produttive e l’allentamento delle misure di restrizione per la popolazione rese necessarie dalla diffusione pandemica del virus Covid-19.
La Fase 1 ci ha lasciato, da quello che posso vedere, con una gran mole di insoddisfazione e difficoltà variegate: c’è chi ha perso il lavoro, chi ha visto forti riduzioni sia in termini di orario lavorativo che di retribuzione, chi ha dovuto chiudere la propria attività perdendo soldi, sicurezza e speranza di un futuro sereno.
C’è chi si è isolato, per proteggere se stesso e la comunità, per proteggere i propri cari, c’è chi ha sofferto molto per via di questo isolamento forzato. C’è chi ha lavorato di più, molto di più, chi si è sacrificato per il bene comune, un bene maggiore. C’è chi purtroppo non ce l’ha fatta; c’è chi è sopravvissuto al dolore o sta ancora cercando di dialogare con la sofferenza. C’è anche chi ha apprezzato il periodo di quarantena, chi ha potuto dedicarsi ai propri interessi, chi ne ha intrapresi di nuovi e inaspettati, chi ha potuto riscoprire un’area della propria intimità che fino a quel momento era rimasta sepolta sotto la fretta, la quotidianità, sotto le consuetudini.
Un periodo variegato, in fondo non siamo tutti uguali.
E ora...eccoci alle prese con un nuovo momento: la lenta e graduale ripresa della normalità.
Si apre la porta...appaiono nuove reattività!
Questo secondo momento di gestione della pandemia ci può, quindi, trovare in situazioni psicologiche diverse. Dal sollievo di chi esclama “Finalmente posso prendere un caffè al bar, anche se da asporto! ”, al senso di rivalsa di chi dice “Mi riprendo le mie libertà! ”; dalla sensazione di incertezza di un impaurito “Cosa mi aspetterà? ”, all’ansia del “Dovrò licenziare i dipendenti? ”, “Come pagherò le bollette?”, “Chi terrà i miei figli mentre lavoro?”; dal germoglio di speranza perché forse “le cose iniziano a sistemarsi”, alla voragine di disperazione del “le cose non saranno mai più le stesse”, dalla rabbia alla difensività al cinismo e tantissime altre manifestazioni emotive.
Siamo entrati in una fase sicuramente più delicata, che chiama in causa la nostra capacità di essere responsabili, che ci vede tutti quanti protagonisti ed importanti nel dare il nostro contributo, la nostra goccia nell’oceano. Non possiamo più dirci “Ci penserà qualcun altro”.
Oggi quel qualcun altro siamo noi.
Negli alti e basse delle nostre emozioni, credo sia importante coltivare e mantenere una certa obiettività, non cedere alle tentazioni lusinghiere di un sempre facile automatismo.
Sta in questo tentativo di auto-osservarci la nostra possibilità di governare in modo saggio le nuove reattività della Fase 2.
Ma questa fase ci offre anche un’importante occasione: quella di nutrire e rinforzare il seme della fiducia.
La fiducia: capire che non ci siamo solo noi
Siamo tentati di pensare che, se tutto dipendesse da noi, le cose andrebbero meglio. Saremmo meglio in grado di prendere le decisioni giuste, saremmo più capaci di gestire il Paese, saremmo più bravi a creare occasioni di ripresa più rapidamente…
La Fase 2 ci invita a riconoscere che non esistiamo solo noi e le nostre sedicenti bravure. Finché eravamo (chi più chi meno) “rinchiusi” nelle nostre umili case, eravamo tutti bravi ad affacciarci al balcone e farci paladini del buon senso; adesso, riaprendo un po’ le porte, ecco che ci ritroviamo in mezzo agli altri. E sono “altri” che non possiamo controllare.
Possiamo così decidere volontariamente di dare spazio alla fiducia, un nuovo sentimento, difficile da coltivare perché ci richiede di cedere all’ignoto, di affidarci a questo “altro” che spesso ci fa paura. La fiducia ci impone di fare un salto, di aprirci alla manifestazione dell’Altro, di uscire un po’ dalle grinfie strette della nostra illusoria sicurezza e, semplicemente, fidarci che l’altro, che è un po’ come noi, si comporterà con rispetto.
Il beneficio della fiducia
Non è impresa da poco, avere fiducia; tante volte siamo testimoni di cronache che difficilmente alimentano il germe della fiducia, di situazioni che più rapidamente ci fanno dubitare sulla coscienziosità e sul rispetto della specie umana. Questo non può essere eliminato, ma notiamo quale vantaggio ci dà alimentare, al contrario, la diffidenza, il sospetto e il rancore?
Come sarebbe se noi, nel nostro intimo, nella nostra pratica, decidessimo di dare maggiore risalto agli episodi di consapevolezza, di giusta tutela della salute pubblica, di cauto rispetto delle norme e delle persone, di instancabile zelo della scienza e della ricerca? Come sarebbe se decidessimo di sorridere al nostro vicino mentre siamo in coda anziché lamentarci e complottare?
Incontreremo certamente chi preferirà rimanere nel caldo della propria rabbia, della propria diffidenza e della propria paura, ma adesso, secondo me, è ora di avere fiducia che qualcosa di diverso possa sorgere, se noi ci impegniamo in tal senso.
Possiamo aver fiducia nella nostra possibilità, di ciascuno di noi, di allargare lo sguardo e vedere oltre il buio, magari non da soli, magari serve un aiuto, e la pratica di Mindfulness è a mio avviso formidabile in questo frangente. Possiamo uscire di nuovo per le strade, riappropriarci gradualmente delle nostre libertà, senza esser stati “imbestialiti” dalla difficoltà, feriti sì, ancora doloranti sì, ma sempre con la volontà di vedere più in profondità.
FEDERICA GAETA
Terapista della Riabilitazione Psichiatrica
Istruttrice Qualificata Interventi Mindfulness e prot. MBSR
tel. 327 49 58 256