“I nostri pensieri possono anche essere reali, ma non sono necessariamente veri”
La nostra mente è come un filtro che mettiamo, volenti o nolenti, tra noi e la realtà. Questo filtro è talmente sottile, funzionale e innestato profondamente nella nostra struttura psicologica che il più delle volte non ci accorgiamo del suo continuo lavoro.
Ogni cosa che ci succede, ogni persona che incontriamo e con cui parliamo, ogni relazione che intrecciamo, ogni esperienza, piccola o grande, che viviamo passano tutte attraverso una programmata decodificazione che opera della nostra mente. Questo è un bene, perché grazie a questa immensa e spesso misconosciuta capacità, siamo in grado di orientarci nel mondo, di avere una scala di valori che indirizza le nostre scelte, di organizzare ed elaborare i nostri ricordi e le nostre percezioni.
Grazie a questa operazione di “filtraggio” svolta dalla nostra mente, “fin dalla nascita sviluppiamo il nostro senso d’identità, che si svolge prevalentemente nel rapporto con gli altri e non si ferma al raggiungimento dell’età adulta, ma prosegue per tutta la vita. Per tutta la vita aggiungiamo, togliamo o modifichiamo qualità, tratti, interessi, capacità nella nostra identità” (Mattioli, 2012).
In questo modo, è evidente come il processo con cui capiamo e sappiamo chi siamo è continuamente dinamico e viene scelto in ogni istante.
COME DEFINIAMO IL NOSTRO SENSO DEL SE’?
Nella maggioranza dei casi, definiamo noi stessi e gli altri in modo automatico, tramite le esperienze passate, le preferenze, le abitudini, la casualità, le nostre reattività.
Frasi del tipo “Sono fatto così”, “E’ una persona aggressiva”, “I progetti che inizio sono destinati a fallire”, “Non sono buono a nulla” esprimono la nostra identità o quella che crediamo sia l’identità degli altri.
Anche le accezioni positive non sfuggono da questo processo: “E’ davvero una persona altruista e disponibile”, “Siamo una famiglia affiatata”, o costruzioni identitarie relative a gruppi estesi che sono alla base dei tantissimi pregiudizi che offuscano la nostra visione e decidono al posto nostro.
Questo processo di identificazione con ciò che la nostra mente produce (quindi con i nostri pensieri, le nostre convinzioni e le nostre emozioni) porta spesso a grandi abbagli, a serrate critiche o auto-critiche, a decisioni affrettate, a ferme prese di posizione che restano cieche anche alla più lampante evidenza o a blocchi psicologici che arrivano fino alla depressione o a ideazioni deliranti.
ROMPERE IL CICLO DELL’IDENTIFICAZIONE
Quando questo processo, totalmente naturale e parte integrante della nostra mente, frutto di tutta l’evoluzione che ci ha portato fino a qui, diventa eccessivamente rigido, ecco che sorge per noi la sofferenza. Quando ci arrabbiamo con gli immigrati sui barconi, è senza dubbio che soffriamo; quando non superiamo un concorso; quando non riusciamo a perdere quei chili in eccesso; quando ce la prendiamo con noi stessi per aver rovinato una relazione significativa a causa di un nostro comportamento; quando non riusciamo a dedicarci un attimo di tranquillità e finiamo ogni giornata esausti e spesso anche insoddisfatti; la sofferenza che ne deriva è frutto di questo processo di identificazione che, pensando che ci semplifichi la vita, in realtà ce la complica e la rende pesante.
Quando succede questo, è come se fossimo fusi dentro le nostre credenze. Diventiamo i nostri pensieri, e anche gli altri diventano quello che noi pensiamo che siano. Anche se qualcuno provasse a farci vedere come stanno realmente le cose, noi porteremmo ugualmente qualsiasi opinione contraria come prova dell’esattezza della nostra visione errata.
E’ una grandissima capacità della nostra mente, che però porta a credenze distorte su noi stessi e sugli altri, a pensieri catastrofici, ansiosi, negativi, a tentativi di risolvere il dilemma attraverso l’evitamento, la rinuncia, il controllo ossessivo e rigido. E tutto questo è portatore di estrema sofferenza.
COSA CI AIUTA? LA DEFUSIONE COGNITIVA
Tramite la defusione cognitiva possiamo non farci agganciare dagli eventi interni o esterni, ma notare i nostri pensieri distinguendoli dalla realtà (Polk, Schoendorff, Webster, Olaz, 2016).
Possiamo riconoscere che i pensieri sono appunto parole, storie, discorsi che si presentano nella nostra mente ma che non necessariamente sono veri, non dobbiamo credergli automaticamente. Possiamo concedergli tempo e attenzione solo se sono utili, ma nessun pensiero, per quanto doloroso, rappresenta una minaccia reale (Harris, 2010).
In questo processo la Mindfulness ci aiuta, con la sua pratica gentile e paziente, a fermarci ed innanzitutto a riconoscere il processo di fusione: quando crediamo di essere dei buoni a nulla, quando crediamo che gli altri ce l’abbiano con noi, quando crediamo che il nostro capo sia un arrogante dispotico, ecc..
Riconosciamo e sentiamo quali sono gli effetti di questa identificazione: tensione, stress, disagio, scoramento, frustrazione, tristezza, ansia, stanchezza cronica, perfezionismo, per citarne alcuni.
Piano piano, con la pratica, possiamo iniziare ad accogliere questa sofferenza e lasciar andare l’identificazione, iniziando quindi il processo di disidentificazione dai contenuti mentali ed emotivi.
Disidentificarsi non vuol dire che non proveremo più emozioni negative o che non saremo mai più arrabbiati, vivendo in un mondo fatato dove tutto scorre liscio e riceviamo complimenti dalla mattina alla sera.
Disidentificarsi vuol dire che il mondo esterno continuerà a scorrere come ha fatto finora, ma noi non offriremo più modo agli eventi di farci del male. Non avremo un’etichetta da dover difendere o da cui doverci difendere. Vivremo una vita serena focalizzando la nostra attenzione sulle cose che più contano per noi, su quelle che ci fanno stare bene, sulle gioie e i piccoli agi che riempiono la nostra giornata ma di cui non ci accorgiamo neanche perché siamo “fusi nell’oscurità”.
E questa si chiama libertà.
““Non c’è niente né di buono né di cattivo che non sia il pensiero a renderlo tale”
Amleto
DOTT.SSA FEDERICA GAETA
Terapista della Riabilitazione Psichiatrica
Istruttrice SENIOR protocolli Mindfulness
tel. 327 49 58 256
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
- Harris, R. (2010) La trappola della felicità. Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere. Erickson
- Polk, K.L., Schoendorff, B., Webster, M., Olaz, F.O. (2016) La matrice ACT. Guida all’utilizzo nella pratica clinica, Franco Angeli
- http://www.patriziamattioli.org/identita-personale-i-parte-che-cose/